Il 14 gennaio entra in vigore in Italia la legge che vieta l’utilizzo di una serie di prodotti in plastica monouso, non compostabile e non biodegradabile. Viene così recepita la Direttiva Europea antiplastica SUP (Single Use Plastic) che mira a ridurre del 50% entro il 2025 e dell’80% entro il 2030 l’inquinamento dovuto alla plastica, per preservare in particolare mare e oceano. Tra i primi prodotti di plastica monouso che verranno messi al bando figurano cannucce, posate, aste per i palloncini e contenitori per cibi e bevande in polistirene espanso.
E così anche l’Italia, secondo produttore di manufatti in plastica in Europa dopo la Germania, deve adeguarsi.
Da Confindustria ad Assobioplastiche, passando per il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani sono state parecchie le voci critiche rispetto alla normativa europea.
Per promuovere l’uso di prodotti alternativi a quelli vietati, il decreto prevede agevolazioni per le aziende che ne facevano uso, sotto forma di credito d’imposta, nel limite massimo complessivo di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024. Per esercenti e produttori, inoltre, sarà possibile usare le scorte esistenti fino ad esaurimento, a patto che possano provare l’effettiva immissione sul mercato prima del 14 gennaio 2022.
Per altri prodotti, come le bottiglie, non è previsto alcuno stop “ma solo requisiti di progettazioni, misure che riguardano la EPR (responsabilità estesa del produttore), target di raccolta differenziata”. Nello specifico, a partire dal 2025, le bottiglie fabbricate con polietilene tereftalato come componente principale (quelle in PET), devono contenere almeno il 25% di plastica riciclata, percentuale che salirà al 30% a partire dal 2030. Dal 2024, poi, il tappo delle bottiglie in Pet di capacità fino a 3 litri (per i quali la Sup punta a una raccolta differenziata del 77% nel 2025, del 90% al 2029), dovrà essere attaccato al contenitore.
L’Italia ha deciso di mettere al bando i prodotti in plastica monouso prescritti della direttiva europea, con l’esclusione di quelli biodegradabili e compostabili che presentano una percentuale di materia prima rinnovabile pari o superiore al 40% per il 2023. Dal 2024, invece, il limite sarà elevato al 60%. L’esclusione di queste tipologie è un’iniziativa del nostro Paese (e potrebbe incorrere in una procedura di infrazione).
Lo stop alle plastiche monouso può comportare risultati negativi anche nei confronti dell’ambiente, come ha ricordato Alex Bellini in un post su Linkedin. Basta recarsi in India o in Kenya, paesi in cui è già stata adottata una soluzione simile, per rendersi conto che vietare la plastica monouso non è sufficiente.
1. Senza linee guida per lo smaltimento delle alternative biodegradabili, può succedere che i rifiuti generici e i rifiuti biodegradabili vengano smaltiti insieme, vanificando lo scopo dell’utilizzo di alternative in plastica.
2. Senza norme precise che impongano di contrassegnare chiaramente il tipo di plastica utilizzato, in modo che possa essere riciclato in modo appropriato, la qualità della plastica raccolta e riciclata sarà sempre scarsa.
3. Vale anche la pena imparare dall’esperienza di vietare i sacchetti di plastica in India, dove ciò ha portato ad un aumento dell’uso di sacchetti di plastica più spessi e non regolamentati.
Una ricerca che suggerisce che le alternative ai sacchetti di plastica come quelli di cotone o di carta hanno impatti ambientali non trascurabili.
4. Infine, dovremmo essere cauti con le alternative che affermano di essere biodegradabili o compostabili. Solitamente queste sono compostabili o biodegradabili solo presso strutture industriali a temperature molto elevate, difficilmente raggiungibili in ambienti normali.